Julio 2018
Revista Marie Claire
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Caetano Veloso in concerto in Italia a luglio
Abbiamo
intervistato il cantautore brasiliano, che ha vinto Nove Latin Grammy e due
Grammy Awards in 50 anni di carriera. Ci ha parlato di donne, poesia,
rivoluzioni. E ci ha spiegato due cosette sul Brasile.
Di CECILIA FALCONE
28/06/2018
Foto: Fernando Young |
«Adesso che Bob Dylan ha vinto il Nobel per la letteratura,
sa che il prossimo potrebbe essere lei?». «Non succederà», ci ha risposto Caetano
Veloso, prima che lo scandalo dell’Accademia di Svezia facesse
saltare il premio. Nove Latin Grammy e due Grammy Awards vinti in 50 anni di
carriera, un’indomabilità espressiva che nel 1969 gli è costata l’esilio a
Londra, il
cantautore di Santo Amaro,
nello stato di Bahia, è uno che tutto sente, osserva e canta. Dalla guerra
all’amore, con una voce suadente che riattiva i sentimenti. Il
13 luglio arriva a Pavia nella corte del Castello Visconteo, perl’Iride Fraschini Music Festival (i biglietti si
trovano direttamente sul sito). È il primo dei quattro concerti italiani, in
cui l’artista interpreta i successi in versione acustica con i figli Moreno,
Zeca e Tom.
Caetano
Veloso, 76 anni il 7 agosto, con 34 album all’attivo più le raccolte e i live,
è uno degli artisti brasiliani più influenti. Arriva in italia con i figli per
l’Ofertorio tour: il 13 luglio a Pavia, il 15 a Perugia, il 17 a Borgia e il 21
a Roma. - Courtesy photo
Dedica questo tour alle madri dei suoi figli e alla
sua. Che ruolo hanno le donne della sua famiglia? Mia madre è presente in ogni momento dello spettacolo, il cui titolo è Ofertório,
dalla canzone che ho scritto per la messa del suo 90esimo compleanno. Mio padre
era il faro, la mente che ci guidava, ma mia madre, che ha vissuto fino a 105
anni, ha reso tutto possibile con la pazienza, i modi gentili, la naturalezza.
Le mamme dei ragazzi hanno un momento dedicato quando canto i pezzi che ho
scritto per ognuna di loro. Ogni uomo ha bisogno di una madre, dice anche la
canzone di Zeca: tutti noi quattro sul palco guardiamo ammirati queste donne
nelle nostre vite.
Usa le parole in modo evocativo: com’è cambiato il
suo rapporto con la poesia, oggi di moda? È di
moda? Non lo sapevo. Mi ero rassegnato al fatto che non vendesse. Poi in
effetti di colpo l’opera completa del poeta Paulo Leminski, che era un mio
amico, è diventata un bestseller in Brasile due o tre anni fa. Di me, non ho
mai pensato di essere un poeta. Ho visto un combattimento di capoeira a
Salvador quando avevo 19 anni, e ne ho scritto: dell’immagine dei corpi che si
sfioravano perfettamente senza toccarsi. Mi è piaciuto e ho deciso di
riscrivere il pezzo come se fosse un testo di João Guimarães Rosa, poi di
Clarice Lispector, poi una poesia di João Cabral de Melo Neto. Io all’epoca
volevo dipingere o dirigere film. Cantavo canzoni perché mi divertivano. E così
ho finito per essere un cantautore e un cantante. Della poesia ho solo
conservato l’idea del suo rappresentare uno stato di elevazione, concentrazione
e intensità, da mettere in qualunque cosa facessi.
Parlando di film, ha scritto anche di Giulietta Masina,
Michelangelo Antonioni... Quando avevo 15 anni ho visto La
strada e mi ha cambiato la vita. Da quel momento ho amato l’immagine di un
film solo per il fatto di sentire i personaggi parlare italiano. La lingua e il
cinema in bianco e nero mi hanno sempre affascinato. Ancora oggi. Non ho mai
preso lezioni di italiano, ma conosco i dialoghi de La dolce vita a
memoria. Ho scritto una canzone su Giulietta, ma non l’ho mai incontrata. Il
mio amico Gil sì, a un festival. Di Antonioni amo L’avventura e Professione:
reporter e gran parte di L’eclisse, ma ho voluto descrivere le sue
atmosfere dopo averlo conosciuto. Era un uomo eccezionale, carismatico. E alla
fine la canzone con il suo nome è una delle mie preferite.
Con il suo amico
Gilberto Gil nel ’68 ha realizzato l’album Tropicália ou Panis et Circencis e
dato vita a un movimento artistico d’avanguardia. Cos’è stato il Tropicalismo? Un gesto contro la
stagnazione e la mancanza di vitalità dei rispettabili musicisti del Brasile di
metà anni 60. La bossa nova è stata una rivoluzione, i nostri colleghi si
prendevano troppo sul serio. Non volevano saperne della musica pop, del volgare
sentimentalismo brasiliano e latinoamericano, della forza delle cosiddette
canzonette. Noi volevamo essere all’altezza del senso profondo della bossa
nova, oltre allo stile.
In una hit del 2012
cantava ancora A Bossa Nova É Foda, la bossa nova spacca. Cos’altro c’è
di bello oggi nella scena brasiliana? Il carnevale della musica di Bahia, il funk che arriva dalle favela di
Rio e ora è adottato dagli artisti di San Paolo, e giovani creatori fantasiosi
come Thiago Amud.
Il Brasile sembra
una promessa mancata, è così? Lo è sempre stato. Io penso che sia una
sfida. Non può superare la sua marginalità senza cambiare il mondo: è
fisicamente troppo grande. Se si liberasse, sarebbe un guaio per le altre
forze.
L’intervento federale
per la sicurezza a Rio? È un tentativo assurdo del presidente Temer di
ottenere prestigio, rispetto ed elettori. Non ha funzionato.
Cosa stanno
smuovendo negli elettori l’omicidio di Marielle Franco (consigliera e attivista
di Rio) e l’arresto dell’ex presidente Lula? L’assassinio di Marielle è stato un
forte colpo emotivo, che ha fatto scendere in piazza gente di ogni estrazione.
L’arresto di Lula è considerato ingiusto dalla sinistra ma celebrato dalla
destra. Quindi, la commozione per Marielle ha unito, l’arresto di Lula continua
a dividere. Nonostante tutto, è lui il favorito dei sondaggi. Se la sinistra è
abbastanza furba da leggere queste realtà, sarà capace di riunirsi intorno a un
nome che potrebbe salvare il Brasile da un altro periodo di conservatorismo.
Quale rivoluzione
sogna?
Una rivoluzione totale. A partire dal significato del termine. Quelle che sono
state chiamate rivoluzioni hanno creato autocrazie, tirannie e dinastie
orribili. Non mi piace il terrore, neanche come parola nelle pagine del
filosofo Žižek. Sogno un riformismo rivoluzionario che ripensi l’organizzazione
della vita umana in modo sovversivo - e vorrei che il Brasile lo facesse.
Perché sono brasiliano e perché il Brasile è un’opportunità per reinventare la
Storia.
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